Valorizzare le risorse del territorio per ridurre l’impatto ambientale della produzione di materiali edili e accelerare la transizione ecologica dell’edilizia. Una ricerca dell’Università di Udine e Alpacem, realizzata nell’ambito del progetto europeo Sitar, ha individuato in due materiali di scarto a chilometro zero – i residui di lavorazione della pietra piasentina e la cenere di lolla di riso – una risorsa per sostituire componenti ad alto impatto ambientale (come il clinker) nella produzione di cemento e calcestruzzo.
La pietra piasentina è una roccia sedimentaria calcarea tipica del Friuli Venezia-Giulia. I suoi scarti di lavorazione, oltre il 50% del peso, si sono dimostrati idonei a sostituire parzialmente il calcare nel cemento grazie a un contenuto di carbonato di calcio (CaCO2) superiore al 95%. Le prove meccaniche condotte hanno confermato che è possibile raggiungere la resistenza richiesta (classe C30/37) a fronte di un’importante riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2).
Il secondo materiale sperimentato è la cenere di lolla di riso, derivata dalla combustione del rivestimento esterno del chicco di riso, una risorsa abbondante nel panorama agricolo italiano. Portata a 600°C, la cenere sviluppa proprietà simili a quelle dei fumi di silice, con una percentuale di silice (SiO2) superiore al 90%. I test hanno mostrato che i calcestruzzi prodotti con cenere di lolla raggiungono e superano le performance richieste nel lungo periodo, a conferma del suo valore tecnico e ambientale.
La ricerca è condotta da una equipe di lavoro congiunta formata dal gruppo di ricerca del Dipartimento Politecnico di ingegneria e architettura dell’Ateneo friulano, guidato da Giuliana Somma, e dal Laboratorio Qualità di Alpacem diretto da Elvis Rosset.
“Il progetto – spiega la professoressa Giuliana Somma, docente di tecnica delle costruzioni dell’Università di Udine – ha l’obiettivo di accelerare la transizione del mondo delle costruzioni verso l’utilizzo di materiali più rispettosi del clima: con tali calcestruzzi infatti si vuole ridurre l’impatto della produzione di CO2 dando nuova vita a materiali di scarto, mantenendo però inalterate le performance strutturali".
“Questi studi – aggiunge Elvis Rosset, responsabile laboratorio qualità R&D di Alpacem Cementi Italia – dimostrano quanto la ricerca possa essere strumento concreto per un’industria più responsabile. L’integrazione di materiali alternativi non solo riduce l’impatto ambientale della produzione di cemento, ma valorizza anche le risorse del nostro territorio”.
La sperimentazione si svolge all’interno del progetto europeo Sitar del programma Interreg Italia-Austria. Il progetto, con sette partner pubblici e privati, ha una durata biennale, un valore di quasi un milione e 200mila euro ed è stato finanziato dalla Commissione europea con quasi 875mila euro. L’iniziativa mira ad accelerare il trasferimento al settore delle costruzioni di tecnologie avanzate e di approcci moderni di costruzione rispettosi del clima ed efficienti dal punto di vista delle risorse. Il comparto infatti causa direttamente e indirettamente più di un terzo delle emissioni di CO2 a livello mondiale. Il progetto Sitar intende quindi fornire strumenti adeguati per sostenere lo European Green Deal. Si concentra, in particolare, sulla regione alpina centro–sud-orientale e analizza le opportunità offerte dalle moderne tecnologie e dagli approcci avanzati per la progettazione, la costruzione e la ristrutturazione degli edifici da un punto di vista ambientale. A Sitar partecipano: la Carinthia University of Applied Sciences (capofila), l’Università di Udine, l’Istituto tecnologia materiali edili Alto Adige (Isb) e le aziende Bergmeister, Friul Julia Appalti, Antonio Basso e Alpacem Cementi.
