Se l’overpackaging è la chiave di lettura nel settore del packaging, da domattina via i blister da tutti gli antibiotici: si venderanno sfusi come le caramelle. Non c’è nessun rischio di contaminazione batterica, tanto più che il prodotto agisce proprio contro i batteri.
È la logica conclusione provocatoria cui si arriva analizzando alcune scelte in fatto di igiene del packaging, tema quanto mai caldo in un secolo che si apre all’insegna delle migrazioni di popoli e di crisi della salute pubblica.
Il caso riguarda uno dei più grandi mercati del beverage, quello che vede birra, soft drink, succhi, acqua minerale, bevande isotoniche ed energetiche, cocktail e in rari casi anche vino e superalcolici viaggiare in lattina: ciò che accomuna bevande differenti fra loro per composizione, grado alcolico, stili e occasioni di consumo nella storia e nel mondo è proprio questo contenitore, icona da sempre del consumo individuale
Sia in acciaio, sia in alluminio, ciò che più caratterizza la lattina rispetto alla bottiglia, ciò che più la rende famigliare e pratica agli occhi dei consumatori, è la forma cilindrica simile al bicchiere: contiene una quantità ‘giusta’: meno di quella di una bottiglia, e una volta e mezza quella di un bicchiere. E da almeno 70 anni, come un bicchiere viene usata: appoggiandovi le labbra.
“Berreste da un bicchiere che non sapete dove sia stato e da quali mani sia stato toccato?” In periodo di pandemia, il dubbio è più che lecito e la letteratura anche recente sul tema, soprattutto da parte di ricercatori di nazioni anglofone, non manca. In particolare, una del 2018 ha verificato lo stato di pulizia, la contaminazione di batteri tramite le mani, la loro sopravvivenza nei magazzini. Poco meno di 200 lattine analizzate prima del contatto con le mani hanno rivelato presenza di proteine nel 46% di esse, stato igienico a rischio (31%) e medio pericolo poco meno del 22%. Quando invece si passa al contatto con mani ‘sporche’ di E.Coli (presente su mani non lavate dopo essere stati al bagno), le lattine bagnate si caricano di batteri nel 50% dei casi e nel 30% quando le lattine sono asciutte. Infine, in generale i batteri resistono in vita fino a 14 giorni.
Ma è solo nella fase distributiva, di vendita e consumo che avviene la contaminazione, dove c’è manipolazione? Se potessimo applicare il metodo HACCP anche alle fasi che precedono la somministrazione, vi sono altri momenti di rischio di contaminazione?
“Gli standard di igiene dove avviene l’imbottigliamento sono quelli del settore alimentare, quindi alti – spiega Jacopo Cassoli, general manager di Ecocap's, l’azienda di Gruppo Cassoli specializzata in sistemi automatici di applicazione di lid flessibili in metallo sul top delle lattine – Può esserci un rischio ma ritengo siano casi isolati, legati ad aziende che operano in nazioni in via di sviluppo oppure piccole. In ambiente industriale, le precazioni igieniche sono sicuramente maggiori rispetto ad altri anelli della catena che porta al consumatore finale.”
I coperchi vengono forniti asciutti e in tubi d’imballaggio protettivi che alimentano sistemi automatici a ‘zero contatto manuale’; diversamente, gli operatori sono sempre dotati di guanti. Dopo l’aggraffatura del coperchio al corpo metallico, la lattina viene rovesciata ed avviata su nastri lubricati con prodotti conformi al contatto alimentare verso il pastorizzatore: qui, le temperature intorno ai 70° C non eliminano certo il rischio, ma va considerato che la sanificazione degli impianti è in genere un’operazione quotidiana. Tuttavia, studi pubblici indipendenti di analisi del rischio igienico nella fase industriale, al momento, non sembrano essere disponibili.
“Gli studi oggi riguardano fasi a valle della produzione – precisa Cassoli – e sono stati condotti a seguito di dubbi o racconti di casi, alcuni anche falsi, di malattie contratte e ricoveri a seguito di atti di consumi da lattine sporche. In passato, alcune fake news sono state smascherate, ma resta aperta la questione di come proteggere l’ampia area di contatto fra la bocca e il punto di versamento della lattina. Il collo di una bottiglia priva del tappo corona o l’area coperta da un tappo a vite sono di dimensione inferiore rispetto all’area di contatto di una lattina, anche se non sempre: i tappi erogatori di tipo squeezable applicati a bottiglie in PET con acqua minerale o bevande sportive sono sempre avvolti da un’etichetta termoretraibile con la doppia funzione di dimostrare l’integrità del tappo e proteggerlo igienicamente.”
Tornando alle fasi industriali, dopo la pastorizzazione, avviene il trasporto automatico, la formazione delle file, la creazione dei multipack e dei vassoi, la palletizzazione, il trasporto con muletti o automatico nel magazzino industriale, il prelievo e la formazione dell’unità di trasporto su vettori (containerizzati e non, su strada o su rotaia). Si tratta di fasi dove l’imballaggio secondario applicato (multipack termoretraibile, incartonamento su vassoi o wrap around) mantiene l’igiene di partenza della singola lattina.
“Nelle fasi logistiche successive alla consegna nei CEDI e presso i grossisti di bevande, a differenza dei canali, aumenta il rischio di contaminazione – sottolinea Cassoli –È medio nel dettaglio organizzato dove gli addetti riforniscono più scaffali di prodotti differenti; è medio nel piccolo dettaglio indipendente, dove elevata è la manipolazione; è alto nella ristorazione commerciale e collettiva, dove più mani di persone differenti manipolano le lattine. Per completezza, citiamo anche i casi non infrequenti in cui un pallet venga danneggiato, o un multipack presenti una lattina rovinata durante le operazioni di scarico e movimentazione: si recuperano quelle integre con operazioni manuali.”
Il prossimo anno Ecocap’s, l’azienda del gruppo Cassoli specializzata nella creazione e applicazione del sistema TopSyl (brevetto del 2001) su lattine, compie 20 anni: un arco di tempo interessante per capire il grado di attenzione al problema e l’interesse per soluzioni di protezione presso il settore industriale a livello internazionale. Cosa è cambiato da allora? Innanzitutto, le soluzioni basate su coperchi preformati in materiali non metallici sono state abbandonate non appena il disegno di legge per rendere obbligatorie le protezioni alle lattine non passò al vaglio del Parlamento. E fu un bene perché non sarebbero più in linea con le direttive UE in ambito Green Deal (chiusure solidali al contenitore nel caso di imballi per bevande e liquidi e incentivo a soluzioni mono materiali).
“Presso le aziende utilizzatrici, questo tipo di innovazione viene ancora vissuta come strumento prima di marketing e poi di igiene – sottolinea Eleonora Zacchia, responsabile marketing di Gruppo Cassoli – Il top è un’area di comunicazione, di contatto col consumatore sia per invogliarlo all’acquisto o al riacquisto, sia per veicolare promozioni; due macchine consegnate la scorsa estate in Medio Oriente hanno generato in due mesi un incremento del 30%, con un ritorno sull’investimento significativo. In pratica le due macchine si sono ripagate da sole in 8 settimane. Il sistema non è un overpackaging e un overcost, ma una soluzione a doppio scopo: comunicare e proteggere.”
Nel marketing si riscontra spesso quanto la sicurezza non sia un valore prioritario, anche se soluzioni come i copri-lattina abbiano un impatto sostenibile sui costi industriali e sulla gestione delle linee automatiche. Per esempio, il passaggio da cluster polimerici a cluster cellulosici è una scelta basata su emozioni ambientali senza evidenze scientifiche, e senza tener conto che la sicurezza di integrità del prodotto e dell’igiene vengono meno. Senza entrare, poi, nel merito dei maggiori costi.
“Chiaramente il nostro interesse al tema della sicurezza è diretto, ma ampliando l’orizzonte sentiamo l’assenza sia di una cultura diffusa dell’igiene lungo la supply chain, sia dia una normativa almeno comunitaria, che estenda il concetto di materiali food contact a quello di materiali body contact – conclude Eleonora Zacchia – Il rischio di contaminazione di carica batterica è identico fra le posate e il tovagliolo offerti al cliente in una pizzeria di basso prezzo, lo zucchero sul bancone di un bar, e il top di una lattina; eppure, nel primo caso c’è la crescente abitudine a fornirle confezionate, nel secondo una legge che impone la bustina, nel terzo nessuna precauzione. Non c’è logica. Sarebbe opportuno iniziare dall’educazione, aumentando la domanda di igiene da parte dei consumatori e rendendoli sensibili al problema. Pensiamo per un attimo a come afferra una lattina l’hostess di un aereo: e il cameriere di un bar? E l’addetto al rifornimento scaffali? Si lavano le mani ogni due minuti?”