I consumatori dell'Unione Europea (UE) stanno 'esportando' gli impatti ambientali negativi verso i loro vicini dell'Europa orientale, pur mantenendo la maggior parte dei benefici economici legati al consumo di beni e servizi: lo rivela un nuovo studio pubblicato su Nature Sustainability da un gruppo internazionale di ricercatori, che ha studiato gli indicatori ambientali tra il 1995 e il 2019, dalle strutture delle università di Birmingham (Regno Unito), Groningen (NL) e Maryland (USA), nonché dell'Accademia cinese delle scienze
Grandi quote delle 10 principali pressioni e impatti ambientali sono esternalizzate, mentre oltre l'85% dei benefici economici rimane all'interno dei Paesi membri, sebbene con una distribuzione non uniforme di costi e benefici all'interno dell'UE. "I benefici del consumo dell'UE inducono pressioni e impatti ambientali più elevati per i vicini orientali dell'UE come Albania, Montenegro, Serbia, Ucraina e Moldavia".
L'Europa orientale si è costantemente classificata come la regione che riceve la quota più bassa di valore aggiunto economico rispetto alle pressioni ambientali e agli impatti associati al consumo dell'UE, che sono invece diminuiti nella maggior parte dei suoi Stati membri: per Paesi Bassi e Svezia, gli indicatori in tutte e dieci le categorie sono diminuiti dal 1995 al 2019. Austria, Repubblica Ceca, Italia, Polonia, Romania e Slovenia hanno tutti registrato diminuzioni in nove su dieci analisi delle pressioni e degli impatti ambientali.
Al contrario, tutti gli impatti e le pressioni analizzati associati ai consumi dell'UE sono aumentati in Brasile, Cina, India, Giappone, nonché in Europa orientale e Medio Oriente.
Il primo autore Benedikt Bruckner, dell'Università di Groningen, ha commentato: "Poiché nell'UE vivono molti consumatori super-ricchi che contribuiscono in modo sproporzionato al danno ambientale globale e all'uso delle risorse, dobbiamo concentrare gli sforzi di mitigazione sul consumo eccessivo".
L'altro autore corrispondente Klaus Hubacek, professore all'Università di Groningen, ha dichiarato: "Possiamo ridurre le pressioni e gli impatti ambientali associati al consumo eccessivo dell'UE in diversi modi, tra cui cambiando il modo in cui le persone viaggiano o le loro scelte dietetiche e creando nuovi politiche commerciali ”.
"Pur condividendo i risultati della ricerca mi sembra opportuno rilevare come, in altri ambiti, l’Unione Europea vada sostanzialmente in direzione opposta rispetto a quanto rilevato – commenta Davide Paradiso, Business Manager e Relazioni esterne del consorzio Conlegno – E’ il caso dell’EUTR (European Timber Regulation), un Regolamento del 2012 e attivo da marzo 2013 che prevede l’obbligo di non introdurre nel mercato dell’Unione europea legno e prodotti derivati (quindi carta) di origine illegale. In questo caso è proprio l’azienda europea (definita operatore dal Regolamento) che, prima di importare prodotti legnosi o cartacei, si fa carico delle attività di due diligence per poter decidere se l’acquisto andrà fatto (solo in caso di “rischio trascurabile”) o meno."
In questo caso quindi l’Europa non ha esternalizzato un problema ambientale e sociale ma sta cercando di fare la propria parte con la collaborazione di tutte le aziende (operatori dei settori legno e carta) europee.
"Tale responsabilità – sottolinea Paradiso – verrà ulteriormente estesa con la pubblicazione di un nuovo Regolamento EUDR (European Deforestation Regulation) già noto come 'Deforestazione zero' che mira appunto a mitigare tutti i fenomeni di deforestazione e degrado forestale non solo in Europa ma anche e soprattutto nei Paesi da cui importiamo prodotti come: la carne bovina, la soia, il caffè, il cacao, l’olio di palma, la gomma, il carbone da legna e la carta stampata. Per questi prodotti, che causano la cosiddetta 'deforestazione incorporata', saranno sempre le aziende europee a doversi fare carico della due diligence', dovendo dimostrare che tali prodotti potranno essere immessi nel mercato dell’Unione europea solo se non collegati a fenomeni di deforestazione o degrado forestale nei Paesi terzi di origine. Quindi tutt’altro che una esternalizzazione di problemi ambientali/sociali ma una mera presa di posizione e responsabilità."