Il 44% del valore della produzione di C.O.I.M., multinazionale italiana attiva in poliesteri, polioli, poliuretani e resine speciali per compositi e coating, è destinata al settore dell'imballaggio flessibile basato su poliolefine, soprattutto, ma in misura crescente anche su supporti cellulosici.
Per un gruppo da 1 miliardo di fatturato, 20 società con 8 siti di produzione e ricerca in Italia, Singapore, India, USA, Brasile, Spagna, Austria e Olanda ed oltre 1.200 collaboratori specializzati, 'mercato' significa sempre di più normative; anche ambientali.
Le leggi determinano investimenti e sviluppi: "In questo senso l'Europa rappresenta un paradigma positivo a livello mondiale – confermano Marco Capecchi, Business Development Manager della divisione Adesivi e Coating per i mercati EMEA, e Luca Gianzini, Marketing and M&A Manager – Gli standard minimi di sicurezza per le persone e l'ambiente connessi a prodotti e impianti del comparto chimico sono nettamente superiori a quelli asiatici e nordamericani. È per questo che COIM ha investito molto su tematiche SHE, infatti, entrando nello stabilimento chimico di Offanengo il solo odore avvertibile è dovuto alle attività agricole circostanti, tanto da non far pensare di trovarsi all’interno di un sito produttivo così rilevante quanto quello di Offanengo.
Bene, quindi, il focus permanente sulla riduzione di impatti ed emissioni, ma i 'se' ed i 'ma' non mancano: è il caso della 'storia a puntate' del PPWR, come anche della presenza parziale, o assenza, di indicazioni chiare da parte dei consorzi di riciclo dei materiali da imballaggio in merito alla loro riciclabilità per gli scarti provenienti da raccolte differenziate che contengono percentuali modeste di additivi (colle, adesivi, inchiostri, rivestimenti).
In attesa di certezza e chiarezza normativa europea e nazionale, per proseguire nello sviluppo di nuovi prodotti, C.O.I.M. scommette fortemente sul mercato del packaging flessibile: "Il mercato dell'imballaggio crescerà a livello mondiale – confermano Capecchi e Gianzini – I dati demografici vanno in questa direzione, come pure la crescita delle economie asiatiche, africana e sudamericana che guardano agli standard di qualità e di servizio del packaging dei Paesi sviluppati. Non saranno però crescite omogenee ed ogni area geografica avrà un suo peso e ruolo specifico."
Gianzini e Capecchi spiegano, inoltre, come tale crescita del mercato del flexible packaging dovrà necessariamente seguire le logiche culturali, sociali ed economiche delle singole aree geografiche: quello che in Europa è un prerequisito ambientale, ovvero la riduzione in peso di un imballaggio come buona pratica di prevenzione dei rifiuti, in India diventa un incentivo al littering, poiché la compensazione per la raccolta di un rifiuto da imballaggio è proporzionale al suo peso, quindi chi guadagna raccogliendo non ha motivo di farlo se l'involucro è molto leggero.
Altri aneddoti raccolti da Capecchi e Gianzini danno la misura di quanto il packaging sia espressione di economie locali e quindi di culture d'uso specifiche che devono essere necessariamente integrate all’interno di una strategia di innovazioni globali: "Ogni nostro prodotto risponde a requisiti tecnici, ambientali e di logiche relative al contesto ed alle richieste – spiegano – Una semplice colla per editoria può determinare la vita utile di un libro: può permetterne il riutilizzo e farlo durare 10 anni o renderlo inutilizzabile l'anno successivo: dipende dalla domanda e dalla strategia di ogni mercato editoriale."
Basta questo semplice spunto di riflessione sul rapporto fra mercato globale e mercati locali per aprire la riflessione sugli impatti associati ai materiali: "Possono essere misurati in senso assoluto o relativo all'uso e al riuso in determinati contesti – concludono Capecchi e Gianzini – Un adesivo ad alte prestazioni, se pur molto oneroso rispetto ad altre tecnologie, qualora si riveli così performante da prolungare la vita utile di un manufatto o la shelf life di un alimento, darebbe certamente un contributo positivo rispetto ad altre tecnologie, che al contrario, limiterebbero l’impiego del materiale al monouso o ridurrebero la durabilità alimentare. Insomma la relatività è tutt'altro che teoria: è una pratica di buon senso.