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Luca Maria De Nardo

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Mercati

Perché è un errore fermare le imprese

Luca Maria De Nardo

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Fermare le imprese

Il DPCM del 22 marzo 2020, poi modificato, ha indicato fra le ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza sanitaria il fermo temporaneo di tutte le attività produttive, commerciali e dei servizi non essenziali.

Il fermo sta creando perdite non calcolate di tipo diretto (mancate vendite) e indiretto (sostituzione dei fornitori da parte delle aziende clienti) in un sistema economico fortemente dipendente dai consumi interni e che deve necessariamente sviluppare il commercio estero, che valeva a fine 2019 ben 475,8 miliardi. La bilancia commerciale italiana è in attivo di circa 53 miliardi di euro: cresce (+2,3% nel 2019) ma meno velocemente degli anni precedenti. E tolti i consumi energetici, il disavanzo positivo sale ad oltre 91 miliardi. L'Italia controlla il 3% dell'export mondiale.

Non è disponibile ancora un calcolo dell'impatto di questa misura governativa ancora in vigore, tuttavia nel settore delle tecnologie per l'imballaggio, tradizionalmente destinate all'estero per quasi il 90% del valore, le aziende segnalano importanti rallentamenti delle attività produttive: nel caso dell'Italia, non sono dovute al fermo obbligatorio (questa categoria di aziende è esclusa dal DPCM) ma alla sospensione o all'annullamento di progetti in fase di elaborazione, di progetti approvati e non ancora avviati, di progetti in corso da parte di committenti italiani, europei ed extra europei.

Il giudizio "Un errore fermare le imprese" non riguarda la decisione italiana e non vuole essere una critica alla scelta del governo, ma la constatazione che in casi presenti e futuri di 'pandemia', quindi in un contesto economico globale, bloccare i settori manifatturieri va deciso sulla base di considerazioni economiche.

L'economia è una priorità: la stessa Costituzione italiana recita all'inizio "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro." Ciò non rappresenta solo un valore solo italiano, bensì globale: la sopravvivenza dell'essere umano, a differenza di quello animale, non può essere basata sulla raccolta e la caccia, bensì sul lavoro. Il lavoro, dunque, rappresenta una priorità al pari della salute.

Come la salute va tutelata, garantendo per quantità e qualità adeguati servizi sanitari alla collettività e in primis ai lavoratori sanitari, così anche il lavoro deve essere tutelato. Per oggi e-o domani in casi di pandemia, se una comunità continentale, se non intercontinentale, accetta il principio che salute e lavoro sono equivalenti, è possibile ridurre i danni economici. Ovviamente questo non vale in un contesto solo nazionale di piccole dimensioni. Quindi

1-Mantenimento in attività di tutti i settori manifatturieri e della logistica.

2-Telelavoro per tutto il comparto del terziario avanzato e per una parte dei servizi funzionali ai due settori manifatturiero e logistico.

3-Sospensione temporanea per il terziario ad alto rischio (turismo, ricreazione, sport, scuole ed università, commercio su grandi e medie superfici).

Come garantire il punto 1? Il comparto manifatturiero e della logistica devono ricevere adeguati dispositivi e procedure di protezione individuale da esercito e protezione civile. Per un periodo adeguato (30, 60 o 90 giorni) i lavoratori devono poter usufruire del distanziamento sociale dalle famiglie, vivendo temporaneamente isolati in strutture vicine ai luoghi di lavoro messi a disposizione dall'esercito e dalla collettività.

Questo sarebbe il vero senso di un'economia di guerra, come è stato più volte valutato il periodo attuale, una condizione non dissimile da quella dei cantieri temporanei di grandi società internazionali, come ENI o Trevi, che affrontano quotidianamente il lavoro in condizioni di emergenza sanitaria e di sicurezza individuale.

Se stimiamo al ribasso in 400 miliardi di euro l'impatto economico sul sistema imprenditoriale italiano (pari alla misura di sostegno finanziario messa a disposizione dal governo), può una misura di 'economia di guerra' quale quella illustrata costare più della metà per 90 giorni? Cioè 200 miliardi di euro? Ovviamente no, quindi conviene adottarla a condizione che il sistema (in questo caso la UE) adotti una politica unitaria. La Cina ha potuto mettere a disposizione di 60 milioni di persone un Paese fatto dei restanti 1,240 miliardi di cittadini che potevano 'mantenere a casa' i connazionali della provincia colpita. L'UE non ha voluto farlo.